MUSICHE DI PAGANINI

venerdì 5 novembre 2010

MAFIA E ANTIMAFIA

I PENTITI SECONDO FALCONE

In MAFIA E ANTIMAFIA on 5
novembre 2010 at 09:33
di Giovanni Chianta

Ormai, certi giornali, tentano di screditare sempre e comunque le parole dei pentiti di mafia. Dopo le dichiarazioni di Spatuzza, per esempio, giornali e televisioni filogovernative hanno cercato, in tutti i modi, di far credere al lettore che non si ci può fidare di chi ha ucciso e le sue parole valgono meno di zero, abbiamo visto titoli a prima pagina del tipo:”Le minchiate di Spatuzza”,”Solo minchiate” e molto altro.
Questi media, vorrebbero far credere che il pentito è realmente tale quando accusa un boss, mentre non può essere definito pentito, ma infame, colui che accusa un colletto bianco; da questo assurdo ragionamento, dovremmo arrivare alla conclusione che non esistono mafiosi tra i colletti bianchi. Ovviamente non è così, è questo uno dei tanti tentativi di dissimulazione, per portare il lettore a spostare la sua attenzione più sulla presunta attendibilità del pentito che sull’importanza delle sue dichiarazioni.
Questi giornalisti, o sedicenti tali, dimenticano che il maxiprocesso fu basato sulle deposizioni dei pentiti, che furono decisive ai fini del processo.
Certe trasmissioni, vorrebbero far capire al telespettatore che un tale che ha commesso degli omicidi non è attendibile, come se i pentiti debbano per forza essere delle brave persone e magari pure incensurati; insomma, il pentito dovrebbe sapere certe cose grazie a qualche intercessione divina e non perché è stato testimone o protagonista di un fatto mafioso.
I pentiti di mafia sono, quasi sempre, pure degli assassini, ma anche i soli che conoscono la mafia dal suo interno, i soli che possono parlare di fatti che solo loro conoscono. Anche questi giornalisti, sanno benissimo questo, ma se il pentito nomina Berlusconi o Dell’Utri diventa subito un infame da infangare, se nomina Riina o qualche altro mafioso malavitoso diventa il più grande collaboratore di giustizia che sia mai esistito.

In questi ultimi tempi, i soliti media, cercano in tutti i modi di screditare le parole di Massimo Ciancimino, ma questa volta, la missione è più difficile. Infatti, il figlio del mafioso Vito Ciancimino, ha portato dei documenti, non solo parole, e i documenti o “pizzini” sono stati giudicati autentici. Massimo Ciancimino, agli occhi di certa gente, si è macchiato di una grave colpa: fare i nomi di Berlusconi e Dell’Utri portando pure delle prove. Massimo Ciancimino non sarà certo un santo, ha però fatto qualcosa che non tutti avrebbero fatto: si è fatto indagare per concorso esterno alla mafia per dei fatti che lui stesso ha raccontato ai magistrati. Non sappiamo se le sue azioni sono mosse da qualche secondo fine, ma sappiamo che le sue parole e le sue prove, stanno avendo una grande rilevanza per le indagini in corso sulle stragi e non solo.

Giovanni Falcone, conosceva bene i mafiosi e anche l’importanza delle testimonianze dei pentiti:

“Il pentito , a differenza del classico informatore anonimo, del collaboratore della polizia utilizzato nelle indagini e lasciato nell’ombra, pone problemi nuovi e diversi alla magistratura e all’opinione pubblica. Egli accusa se stesso nel momento in cui accusa gli altri e chiede protezione: è accettabile, dunque, che per la collaborazione prestata Contorno abbia dovuto perdere trentacinque parenti e Buscetta dieci? Mi auguro che la legge votata il 16 Marzo 1991, sulla falsariga dell’equivalente americana, porrà rimedio alle carenze dello stato riguardo alla protezione dei pentiti.

Ad oggi abbiamo avuto nei processi palermitani circa trentacinque pentiti, alcuni dei quali si trovano all’estero. Quando decisero di collaborare, io dissi loro:”se siete persone serie, verrete trattati bene”. Non posso dire di essere stato dallo Stato e, caso per caso, ho dovuto escogitare soluzioni artigianali. E non mi stupisce che qualcuno si sia pentito di essersi pentito. I giudici spesso hanno comminato loro pene più severe che agli altri imputati; le guardie carcerarie li hanno insultati, dato che non è mai ben visto chi non rispetta la legge del gruppo; il personale di custodia, nel suo insieme, che aveva il compito di garantirne la sicurezza, ha reso loro la vita impossibile, sottoponendoli, per esempio a sorveglianza brutale 24 ore su 24. Mi chiedo come quegli uomini abbiano trovato la forza d’animo necessaria a tenere duro.

I pentiti di cui mi sono occupato, nello spazio di sei anni, hanno finito con il tracciare un panorama abbastanza completo di Cosa Nostra da tutti i possibili punti di vista. Buscetta, che era stato molto vicino al mondo politico, si è mostrato in qualche modo evasivo in questo campo, ma è comunque quello dotato di maggior spessore. Mentre Contorno, semplice esecutore d’ordini e quindi limitato nella sua visione, ci ha però offerto la fedele rappresentazione di un “perfetto soldato”.

Calderone, molto umano e sensibile, è stato preciso sull’insieme del fenomeno mafioso siciliano. Marino Mannoia costituisce la sintesi dei primi tre, e inoltre ci ha fornito delle informazioni sull’evoluzione più recente di Cosa Nostra. C’è anche un estraneo all’organizzazione,Vincenzo Sinagra, che ci ha permesso di capire i rapporti tra mafia e criminalità non mafiosa.

Tra i pentiti minori ho trovato interessante Nicolò Trapani, palermitano, capitano marittimo, contrabbandiere, trafficante di droga. Nel 1984 ha reso una confessione minuziosa sui traffici illeciti, e sui rapporti tra catanesi, palermitani e calabresi. Pur non appartenendo all’organizzazione, era stipendiato da alcune famiglie ed era perfettamente al corrente dell’identità dei suoi datori di lavoro. Era una specie di avventuriero internazionale che sosteneva anche di aver sposato una principessa somala.

Altri pentiti sono stati il cinese Koh Bak Kim, il romano Pietro De Riz, i siciliani Vincenzo Marsala, Salvatore Coniglio, Leonardo Vitale.

Si, proprio Leonardo Vitale, che con le sue dichiarazioni del 1973 ci ha offerto due importanti conferme,: l’esattezza delle informazioni che avrebbero fornito dopo diversi anni Buscetta, Contorno e Marino Mannoia:l’assoluta inerzia dello Stato nei confronti di coloro di coloro che dall’interno di Cosa Nostra decidono di parlare. In quell’epoca Vitale aveva fornito indizi che avrebbero dovuto mettere sulla giusta via polizia e magistratura. Aveva riferito di Totò Riina, il “corleonese”, indicandolo come capo supremo della cupola. E aveva raccontato un episodio emblematico: le famiglie di Porta Nuova e di Mezzomonreale discutevano animatamente su chi dovesse incassare una certa tangente. Alla fine fu Riina a decidere in favore della famiglia Noce ( quartiere palermitano), affermando :” è la famiglia che più mi sta a cuore”. Ancora oggi possiamo constatare che il capo della famiglia della Noce è tra i principali sostenitori di Riina.

Vitale aveva rilevato nel 1973 quello che è risultato vero nel 1984,semplicemente perché fino ad allora lo si era ritenuto non affidabile e non attendibile. Certo si trattava di uno psicopatico, affetto verosimilmente da coprofagia, ma era stato prodigo di tante informazioni vere che avrebbero meritato ben diversa considerazione. Lo Stato, dopo averne sfruttato le debolezze caratteriali, una volta avuta la sua confessione, l’ha rinchiuso in manicomio dimenticandolo. Condannato a seguito delle sue stesse confessioni, nel 1984, poco tempo dopo essere stato scarcerato, viene assassinato dalla mafia. E’ questa una delle ragioni per le quali non si possono prendere sul serio quelli che affermano:” della mafia non si sa niente”. Con le montagne di materiale che abbiamo sotto gli occhi.!”

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